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Le “matarozze”: rifiuti o sottoprodotto?

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210611

Messaggio 

Le “matarozze”: rifiuti o sottoprodotto? Empty Le “matarozze”: rifiuti o sottoprodotto?




A cura di Maurizio Santoloci e Valentina Vattani
Link da www.dirittoambiente.net

Le “matarozze”, cioè i residui della lavorazione di beni in polietilene, sono un rifiuto o un sottoprodotto?
Su questo punto vi è vivace dibattito da diverso tempo in ordine a diverse posizioni di principio.
Noi – da parte nostra – vogliamo offrire un modesto contributo sulla discussione in atto in ordine a tale tematiche.

La Corte di Giustizia Ue più volte nel corso di questi ultimi anni ha evidenziato come un materiale considerato residuo di produzione possa non essere necessariamente un rifiuto. Le caratteristiche che rendono un materiale adatto ad essere utilizzato direttamente nel ciclo economico possono indicare che tale materiale non va considerato un rifiuto.

La nuova direttiva 2008/98/Ce sui rifiuti ha delineato la disciplina del “sottoprodotto” indicando i requisiti che sono necessari per far sì che un residuo di produzione possa godere di un regime di deroga alla disciplina sui rifiuti. Nel nostro sistema normativo nazionale la disciplina sul “sottoprodotto” è ora posta dell’art. 184 bis, comma 1, del D.Lgs. n. 152/06 (così come introdotto dal D.Lgs. n. 205/2010 che ha recepito le disposizioni della Direttiva citata) ove si dispone che: “È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana".

La nuova disciplina reca l’importante novità della possibilità di un trattamento preventivo del sottoprodotto qualora rientri nella “normale pratica industriale”.
Sottolineiamo che nella disciplina previgente la norma era molto più severa e pretendeva espressamente che il materiale per poter essere classificato come sottoprodotto non dovesse “essere sottoposto a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari…”. Oggi invece vi è una modesta e parziale “apertura” dato che la norma prevede che “la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale”. Va tuttavia posta attenzione nel non fraintendere questa nuova previsione di legge che non può essere certamente intesa come una apertura generale verso forme di trattamento preventivo o trasformazione preliminare che sono operazioni tipiche del recupero dei rifiuti…
Al riguardo la Commissione Ue nella sua comunicazione interpretativa sui rifiuti e sottoprodotti del 21/2/2007 COM (2007) 59 ha precisato che: “La catena del valore di un sottoprodotto prevede spesso una serie di operazioni necessarie per poter rendere il materiale riutilizzabile: dopo la produzione, esso può essere lavato, seccato, raffinato o omogeneizzato, lo si può dotare di caratteristiche particolari o aggiungervi altre sostanze necessarie al riutilizzo, può essere oggetto di controlli di qualità ecc
Alcune operazioni sono condotte nel luogo di produzione del fabbricante, altre presso l’utilizzatore successivo, altre ancore sono effettuate da intermediari. Nella misura in cui tali operazioni sono parte integrante del processo di produzione, non impediscono che il materiale sia considerato un sottoprodotto”
.
Ed ancora “Se il materiale, per essere ulteriormente trasformato, viene spostato dal luogo o dallo stabilimento in cui è stato prodotto, è verosimile ritenere che le operazioni necessarie alla sua trasformazione non facciano più parte dello stesso processo di produzione.
Pur tuttavia, in presenza di processi industriali sempre più specializzati, questo elemento da solo non basta a costituire una prova. Gli utilizzatori successivi e le aziende intermediarie possono partecipare alla preparazione del materiale per il suo riutilizzo, svolgendo operazioni quali: lavare, seccare, raffinare od omogeneizzare etc.”
.
Il significato di tale “criterio” sarà sicuramente oggetto di intervento della giurisprudenza.

Premesso ciò, le “matarozze” in alcuni casi possono essere classificate come sottoprodotti – in fase originaria – se soddisfano tutti i requisiti previsti dalla legge, e pertanto ad esse non viene applicato il regime dei rifiuti.
Sottolineiamo ancora - tuttavia - che tutte le sopra elencate condizioni poste della norma debbono essere osservate, e dunque la mancata soddisfazione anche solo di una di esse esclude la possibilità di applicare la normativa in deroga del sottoprodotto, ma si resta nel campo dei rifiuti.

A nostro avviso – in merito al successivo utilizzo delle “matarozze” - si prospettano dunque due ipotesi.

Ipotesi A). Le “matarozze” vengono semplicemente macinate e ridotte in granuli uguali alla materia prima originaria per poi essere impiegate in uno stesso o successivo processo produttivo, subendo un trattamento preventivo non implicante operazioni che ne mutano le proprietà fisico/chimiche (senza quindi, ad esempio, aggiunte di resine). In questo specifico caso è possibile ritenere che l’operazione preventiva a cui sono sottoposte dette “matarozze” possa corrispondere a quei trattamenti che rientrano nella “normale pratica industriale” ammessi ora dalla nuova disciplina del sottoprodotto di cui all’art. 184 bis, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 152/06, poiché i granuli derivati dalla loro macinazione, non produttiva di sostanze estranee all’ordinaria composizione, rappresentano solo una riduzione di dimensioni della materia in oggetto, onde consentirne un più facile reimpiego1, mentre non si è in presenza di una mutazione fisico/chimica delle proprietà della materia stessa.
Nondimeno se di tali granuli non si sa bene poi cosa farci perché ancora non si è individuato un impianto certo di impiego e vengono “abbandonati” in deposito in attesa di trovare una destinazione, non si può accedere alla deroga del sottoprodotto che richiede a monte la certezza dell’utilizzazione del residuo, pertanto si resta nel regime dei rifiuti.

Ipotesi B). Al contrario, qualora le “matarozze” non vengono solo ridotte di dimensione ma vengono sottoposte ad un trattamento preventivo di “polverizzazione”, che di fatto ne muta le caratteristiche fisiche, per poi essere impiegate in impianti per la produzione ad esempio di tubi in polietilene, in tale ipotesi usciamo dalla regola del “sottoprodotto” – poiché ci troviamo di fronte ad un vero e proprio “trattamento” di tali residui. Per cui in tale ipotesi a nostro avviso le “matarozze” non possono beneficiare della deroga dalla normativa sui rifiuti.
La regola del sottoprodotto, infatti, continua comunque a pretende che il residuo venga reimpiegato tal quale nel successivo processo di produzione - cioè senza possibilità di interventi che ne mutino le caratteristiche fisico/chimiche -, per cui un processo di polverizzazione che fa passare una materia da uno stato solido ad uno stato pulverulento a nostro avviso ci sembra che non potrà mai essere associato a quei minimi trattamenti che rientrano nella “normale pratica industriale” ammessi ora dalla legge, poiché è un intervento che di fatto va a mutare lo stato fisico del residuo.

Maurizio Santoloci e Valentina Vattani

Pubblicato il 21 marzo 2011

1 La Cassazione Penale Sez. III in passato con sentenza del 16 dicembre 2003 n. 47904 – sotto la vigenza del Decreto Ronchi e prima che il sottoprodotto venisse disciplinato con apposita norma contenuta nella Parte Quarta del D.Lgs. n. 152/06 - aveva escluso dal novero dei rifiuti le “matarozze” sottoposte ad una operazione di macinazione e poi reimpiegate in uno stesso processo produttivo poiché in tale occasione si era evidenziato – in primo luogo - che l’impresa produttrice di detti residui non aveva l’intenzione di disfarsene (tanto che, senza soluzione di continuità, li avviava ad un nuovo ciclo di lavorazione, del tutto analogo a quello precedente); in secondo luogo, era stata dimostrata l’assoluta omogeneità delle sostanze derivate dall’operazione di macinazione rispetto alla materia di provenienza, sia dal punto di vista chimico (dal momento che nessuna modificazione, nell’intrinseca composizione, i materiali subivano), sia da quello fisico (non essendovi passaggi, ad esempio, dallo stato solido a quelli liquido e/o gassoso o viceversa). Le operazioni di macinazione dei suddetti sottoprodotti non potevano dunque ritenersi di “recupero di rifiuti”.
Successivamente, il “sottoprodotto” ha trovato apposita disciplina nella parte quarta del D.Lgs. n. 152/06. L’ art. 183, comma 1, lett. p), al punto 4 disponeva – tra gli altri requisiti – che le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intendeva disfarsi non dovessero essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale richiesti dall’impianto di destinazione per essere utilizzati. La Cassazione ha di regola inteso questo divieto di trattamento preventivo in modo rigoroso facendo rientrare nelle operazioni di trattamento dei rifiuti - ad esempio - la cernita e la pulitura (si veda ad esempio Cassazione Penale Sez. III sentenza del 7 agosto 2007 n. 32207). Le recenti modifiche alla disciplina del “sottoprodotto” - come abbiamo visto - hanno riaperto la questione e sembrano aprire a qualche possibile trattamento lieve del sottoprodotto.
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